La Gambalunga racconta: Il De civitate Dei di Pandolfo III

Il De civitate Dei di sant’Agostino (354-430), convertito al cristianesimo e battezzato a Milano da sant’Ambrogio nel 387, è l’ultima delle sue opere, scritta prima della morte, quando è Vescovo di Ippona, nell’odierna Algeria.

In 22 libri si narra la storia dell’umanità che si dipana in sei epoche corrispondenti ai giorni della creazione, nella contrapposizione tra la città terrena, di Dite, dominata dalla sete di potere e dalla violenza e la città di Dio, governata da giustizia e carità e destinata a prevalere alla fine del Tempo, che non è più ciclico ma lineare, proiettato verso il Giudizio Universale e l’affermarsi della gloria e dell’eternità di Dio.

Pandolfo III (padre del signore di Rimini Sigismondo Pandolfo che è bresciano di nascita) eredita quindicenne nel 1385 dal padre Galeotto la signoria di Fano, sarà poi signore di Brescia dal 1404 per volontà di Caterina, vedova di Gian Galeazzo Visconti che Pandolfo ha sostenuto con le sue truppe, è poi anche signore di Bergamo dal 1408. Dieci anni dopo ospita a Brescia nella sua residenza, il palazzo del Broletto, papa Martino V. Lascerà la Lombardia nel 1421, con una “buona uscita” dei Visconti di 34.000 fiorini, rientrando nelle Marche, dove morirà nel 1427.

A Brescia si circonda di artisti e letterati, commissionando l’edificazione, la ristrutturazione e la decorazione di edifici pubblici; si diletta di poesia e nella sua corte si copiano e tramandano opere letterarie, commissiona la trascrizione della Commedia di Dante, ora a Parigi, e delle Postille alla Bibbia di Nicola di Lira, ora a Manchester. Per sua volontà Donnino di Borgo San Donnino (PR) copia su pergamena il magnifico esemplare del De civitate Dei di Agostino conservato oggi in Gambalunga. Nell’ultimo foglio del grande volume troviamo la sottoscrizione del copista e, a caratteri cubitali, il nome del committente, Pandulfus. All’inizio una sontuosa pagina miniata raffigura il vescovo Agostino e gli ingressi delle città di Dio e di Dite, in basso al centro lo stemma del Malatesta col cimiero a testa di elefante. Ogni libro è introdotto da una preziosa ed evocativa iniziale figurata. Il pittore anonimo è da anni oggetto di studi per individuarne l’identità.

Il codice, datato 1415-1419, dalla corte malatestiana passò alla riminese Confraternita di S. Girolamo, che ne è proprietaria, e fu depositato su suggerimento del cardinal Giuseppe Garampi a metà Settecento in Biblioteca Gambalunga.

Il codice è esposto fino al 29 gennaio 2023 al Museo di Santa Giulia a Brescia, con Bergamo Capitale Italiana della Cultura, nella mostra: “La città del Leone. Brescia nell’età dei Comuni e delle Signorie”.

Il tavolo multimediale collocato nel corridoio d’ingresso della Biblioteca permette di vedere e “sfogliare” l’opera, riprodotta con immagini ad alta definizione, e apprezzarne le splendide miniature.

Gli storici dell’arte Vincenzo Gheroldi e Simonetta Nicolini illustreranno le scoperte delle recentissime indagini sul misterioso miniatore del De civitate Dei, giovedì 10 novembre alle ore 17, nella rassegna Voci dai Fondi.